Jeanne, un ricordo

Un’attrice, una cantante, una regista, una Donna: Jeanne Moreau.

Foto da Pinterest.co.uk

di G.L.
A circa un anno dalla sua scomparsa vogliamo ricordarla, non perché ci sia da esempio, ma perché possa in qualche modo arrivarci la sferzata di libertà che lei stessa provava, scegliendo e inventando ogni attimo della sua lunga vita.
Jeanne, di origine franco-inglese, iniziò la carriera giovanissima, prima come ballerina seguendo le orme della madre, dopodiché, all’insaputa della famiglia, seguì corsi di arte drammatica diventando così un’attrice teatrale, fino ad approdare alla sua grande passione: Il Cinema. Andò avanti nonostante le vessazioni da parte del padre che la definì una “poco di buono” solo per aver scelto la strada della recitazione cinematografica.

Siamo negli anni ’50/’60, periodo in cui la minima libertà della donna veniva trattata come un mostro contro il quale combattere e dove, contrariamente all’idea di Jeanne, la donna nel cinema ricopriva una funzione tendenzialmente ornamentale.
Jeanne non è mai stata questo, o comunque non solo. Era bella, affascinante, sensuale, ma quel che maggiormente arrivava era il suo essere vera, viva, intelligente e  sfacciatamente ironica, l’essere se stessa. I primi film di successo la videro legata sul set e nella vita al regista Louis Malle .
Del loro primo incontro Jeanne racconterà ai Cahiers du Cinéma:
”E’ stato un giorno di primavera. Siamo su una terrazza quando si scatena una tempesta che faceva presagire quello che sarebbe stato il nostro film, ma anche il nostro rapporto”.
Difatti i film girati con Malle fecero gran scalpore e furono Ascensore per il patibolo e Gli Amanti; in particolare quest’ultimo scosse l’opinione pubblica a causa delle tematiche sessuali, considerate libertine per l’epoca.

Musa della Nouvelle Vague francese, raggiunse l’apice con il dramma travestito da spensierato triangolo amoroso “Jules et Jim” di François Truffaut.
Catherine, indimenticata protagonista della pellicola, col suo sorriso beffardo ed enigmatico, polemica, divertente, intensa, donna costantemente alla ricerca della propria dimensione, dove bellezza intellettuale e determinazione incantano più dell’avvenenza.
Jeanne dirà in merito allo strepitoso successo di Jules et Jim, dal quale uscì anche un discreto successo musicale con la canzone da lei interpretata ‘Le Tourbillon’:
“Credo che sia un film che Truffaut e tutti noi abbiamo fatto con leggerezza, profondità e allegria allo stesso tempo. Avevamo pochi soldi, ma anche una grande libertà di lavorare così come volevamo.”
Truffaut, dal canto suo, descrisse la Moreau con queste parole:
“Ogni volta che me la immagino a distanza la vedo che legge non un giornale ma un libro, perché Jeanne Moreau non fa pensare al flirt ma all’Amore.”

Divenne così una delle attrici più richieste dell’epoca ed anche in seguito; lavorò con numerosissimi registi come appunto Malle, Truffaut, Welles, Fassbinder, Marguerite Duras, Wenders e l’elenco potrebbe continuare.
“Per me è un modo di vivere, un dono. Ho sempre scelto di seguire artisti che ammiravo, rifiutando anche ruoli importanti” dichiarava Jeanne, ed è proprio questa libertà di scelta che le permetteva di essere, in un certo senso, ciò che interpretava.

Ebbe un figlio molto giovane ed un conseguente matrimonio riparatore, disse apertamente che lei – quel figlio – non lo voleva, causando grande indignazione in chi vedeva nella maternità la naturale conseguenza dell’essere donna. Negli anni ’70 decise di esporsi in prima persona firmando il Manifesto delle 343 a favore dell’aborto; forte di una sua terribile esperienza personale che la portò ad abortire clandestinamente dove, racconta Jeanne, venne trattata peggio di una bestia al macello. Già ultra-ottantenne si espose pubblicamente a favore della scarcerazione di una delle attiviste femministe del gruppo punk russo Pussy Riot.
Fu una personalità controversa, lontana da stereotipi di genere, una vita vissuta in modo libero e sicuro, fino ai suoi 89 anni.

Persone come Jeanne Moreau lasciano in eredità a noi donne e uomini, una delle dimostrazioni più alte del femminismo, nonostante lei non amasse definizioni preconfezionate; ciò che la sua vita ci mostra è quanto di più libero da stupidi condizionamenti possa esserci.
Crediamo sia possibile guardarsi nello specchio e scegliere, ma scegliere per noi stesse, allontanandoci dal giogo dei recinti imposti dalla cultura patriarcale di riferimento.
Ribellarci. Scegliere di essere chi vogliamo e come.
Scegliere di denunciare le violenze, di non colpevolizzarci, scegliere l’abbagliante strada della consapevolezza e portarla avanti.

La libertà non è un qualcosa di cui blaterare distrattamente, è una condizione mentale, una condizione dell’essere, la naturale conseguenza della giustizia sociale, del femminismo.

Perciò, grazie Jeanne.

Giulia Saravini Lazzarotti

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