Perché il femminicidio è pop in Italia?

Il muro tra notizia e reali meccanismi appassiona ma rende impossibile la comprensione dei fatti

Nicolas Winding Refn posa con Elle Fanning durante le riprese di ‘The Neon Demon’, Amazon Studios

di G.L. | Agosto 2017

Erika, 28 anni, si trova in vacanza in Sardegna con il fidanzato, il trentenne Dimitri.
Nasce una discussione tra i due, lui la accoltella e tenta di mascherare il femminicidio raccontando di un’aggressione per rapina da parte di terzi.
I media italiani titoleranno “Erika, uccisa per le briciole di pane”. E ancora: “Morta per le briciole sul tavolo”, “Raptus del fidanzato”. L’elenco potrebbe continuare. È un tipo di narrazione giornalistica comune, che ha riguardato molte storie analoghe a quella di Erika.

È la normalità italiana: la trattazione dei femminicidi rivittimizza ed uccide le donne una seconda volta. Perché avviene tutto questo?

“Secondo i dati Istat , sono più di sei milioni le donne italiane che hanno subito violenza e più di tre milioni quelle che sono state vittime di stalking. Nel 2016, il numero dei femminicidi è arrivato a 116, più di una vittima ogni 3 giorni.” La maggior parte dei femminicidi avviene nel nord Italia, forse per la maggiore emancipazione femminile, soprattutto dal punto di vista della realizzazione personale, che l’uomo non accetta. Da inizio 2017 i casi di femminicidio sono già più di 30.

La conoscenza del fenomeno è limitata, anche da parte delle stesse donne, che spesso si colpevolizzano o sottovalutano i primi segnali di violenza – psicologica, fisica, sessuale, economica – con uno straripamento della stessa in ogni senso fino alle estreme conseguenze.
Il tema del femminicidio è molto discusso, ma spesso in modo morboso, mai realmente utile ad arginare la mattanza. La stampa italiana tende a trattare l’argomento utilizzando termini impropri e fuorvianti come “raptus”, “amore malato”, o adducendo motivazioni assurde come prima spiegazione. L’interesse dell’opinione pubblica alimentato da questo approccio è paragonabile alla passione per una serie tv di successo, ma non aiuta la reale comprensione del fenomeno.

L’Italia possiede una radicata matrice patriarcale, da nord a sud. Il “Ventennio Berlusconiano” ha inoltre contribuito a rafforzare un’idea della donna squallida, con ampio margine di differenza uomo/donna, complice un sessismo becero travestito da semplice goliardia. Cercando su Google “ministre parlamento italiano” si viene travolti da queste keywords: ‘look’, ‘fidanzato’, ‘tacchi alti’, ‘décolleté’.
La resistenza al cambiamento è palese, sia nel lessico sia nei contenuti.

Altro esempio. Articolo: Vi interessa come lecca il gelato una nota ministra? No? Beh, agli italiani sì, ça va sans dire!

E vi è anche un diffuso sessismo che si presenta come “buono”, “a favore della donna”, che dice di reputare la donna un’essere superiore parlando di un ideale di donna-angelo dantesca come essere imprescindibile, ma comunque relegato a oggetto di culto prettamente maschile. La parità sessuale rimane un’utopia.
In Italia la cultura è il reale problema, a partire dal linguaggio dove ancora sono presenti espressioni declinate esclusivamente al maschile, soprattutto parlando di professioni tradizionalmente destinate agli uomini.

La presidente della camera, Laura Boldrini, sta attuando una battaglia relativa al linguaggio di genere che ha favorito, tra le altre cose, anche la nascita di corsi universitari dedicati all’argomento, ma prevalgono ancora scetticismo e resistenze, anche da parte del pubblico femminile.
Servono strumenti giuridici e inasprimento delle pene ma, per quanto indispensabili e fondamentali, non bastano a cambiare la mentalità.
Per abbattere il muro tra notizia e percezione si deve partire dal basso: serve supporto ai centri antiviolenza, formazione, educazione alla parità di genere, all’inclusione, a partire dalle scuole dell’infanzia.

Autodeterminazione della donna e rieducazione dell’uomo devono segnare il percorso che porterà bambine e bambini ad essere donne e uomini liberi e femministi, fino alla normalità della parità.

Indubbiamente meno pop.

Giulia Saravini Lazzarotti

1 thought on “Perché il femminicidio è pop in Italia?

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